Ormai avrete capito che su questo blog condiviso gli articoli non escono regolarmente, visto che li scriviamo solo quando abbiamo qualcosa da dire. Bene, il tempo è giunto.
Nel mio primo articolo ever vi ho raccontato un po’ la mia storia e i motivi che mi hanno spinta a studiare finlandese e, conseguentemente, a cercare di costruirmi una vita e un futuro in Finlandia. Ho accennato a un corso estivo seguito proprio qui in Finlandia nel 2010, che ha anche coinciso con la mia prima trasferta in assoluto nella terra dei mille laghi, vero? Ecco, quello che non vi ho ancora detto è quanto quel viaggio abbia significato per me e quanto me ne stia ancora rendendo conto, soprattutto con lo scorrere del tempo.
Ok, è vero, in realtà tutto è cominciato all’università nel 2008, almeno dal punto di vista teorico. Dal punto di vista pratico, però, quello che ha consolidato il mio amore per la Finlandia è stato semplicemente il vederla per la prima volta, dopo averla a lungo immaginata, sognata ed anche idealizzata. A Savonlinna, piccola e graziosa cittadina del Savo meridionale che per un mese mi ha ospitata tra i banchi della sua università, è scattato il colpo di fulmine e proprio in virtù di questo ho desiderato ritornarci a lungo, per motivi profondamente affettivi. Finalmente lo scorso weekend ci sono riuscita ed è stata un’esplosione potente di feels.
Io e il mio ragazzo abbiamo preso il treno da Helsinki il 26 maggio alle 10.19 e siamo arrivati alla stazione di Parikkala un po’ in ritardo, trovando comunque la coincidenza per Savonlinna ad aspettarci. Tutto come otto anni fa, solo con orari differenti. Man mano che il treno passava tra boschi, mökki e omakotitalo l’emozione cresceva, a un certo punto mi sono venuti gli occhi lucidi ma ho cercato di non farlo vedere perché altrimenti la mia copertura di donna bruDal salta così per niente. Il sole splendeva, faceva caldo e le acque del Saimaa luccicavano: di nuovo, tutto come anche allora. Arrivati a Savonlinna è arrivata anche la prima sorpresa: la stazione che nel 2010 rispondeva al nome di “Savonlinna – Porto” era diventata l’unica stazione, nonché ultima fermata del nostro treno, quindi la prima cosa che abbiamo (ho, Tuomas porello ha dovuto seguirmi volente o nolente) deciso di fare è stato andare a vedere l’attuale “Vecchia stazione”, ormai in disuso ma comunque legata a mille ricordi. C’erano 25 gradi, il sole picchiava e abbiamo camminato per più di un chilometro, quindi sono arrivata lì in condizioni abbastanza pietose, ma non fa niente perché tanto sono abituata.
Da lì ci siamo incamminati verso Kaikuvuorenkatu, la strada in cui si trovava l’appartamento per studenti che mi era stato assegnato dal CIMO (cos’è il CIMO? Trovate un piccolo accenno qui). Anche stavolta circa un chilometro di camminata, parzialmente in salita e con conseguente canottiera figa degli Insomnium che si riduce a una mappina, ma rivedere quel palazzo è stata davvero un’emozione. Ho ripensato ai pasta party organizzati nella cucina del mio appartamento condiviso (“Sono italiana, fidatevi di me”); alla mia coinquilina russa che non si degnò neanche mezza volta di fare le pulizie e che, in compenso, era molto propensa ad occupare tutto il pentolame disponibile con il suo cibo, costringendomi quasi sempre ad attaccarmi al caz-ANDIAMO AVANTI; alle chiacchiere in giardino con i nuovi amici con cui avevo legato; alla ragazza ceca che abitava al piano di sopra e ai nostri lunghissimi discorsi sulle nostre vite e sul futuro (a volte ci sentiamo ancora, via mail); a come probabilmente io abbia involontariamente chiuso la suddetta coinquilina russa fuori casa l’ultimo giorno di permanenza e a come, soprattutto, non me ne penta neanche un po’; alle mie due amiche più vicine che mi organizzarono una festicciola a sorpresa nel parco vicino casa per il mio compleanno; a tante altre belle cose che mi sono rimaste in mente e ci rimarranno probabilmente per sempre.
(Una cosa che non vi ho ancora detto è che, saputo che sarei stata in Finlandia per un mesetto, mia madre decise di accompagnarmi almeno fino a Savonlinna per dare un’occhiata e a lei si accodò mia zia, che parla un po’ di inglese. Partimmo tutte e tre da Fiumicino il 6 luglio 2010, ci facemmo una notte in albergo a Helsinki e il 7 luglio eravamo sul treno per Savonlinna; mi accompagnarono poi fino al mio studentato e poi se ne tornarono a Helsinki, ripartendo per Roma il giorno dopo. Col senno di poi è stata una fortuna averle con me in questo momento così cruciale della mia vita, soprattutto perché durante la sfacchinata dalla vecchia stazione allo studentato si ruppe una ruota della mia valigia a causa di un sasso e sarebbe stato molto, molto difficile trascinarla su da sola. Al ritorno mi si ruppe anche la seconda ruota, ma questi sono dettagli.)
Da lì l’ultima tappa mia e di Tuomas è stata l’università, o meglio, il campus di Savonlinna che fa capo alla Itä-Suomen Yliopisto e che probabilmente chiuderanno per spostare tutto a Kuopio, cosa che mi rattrista abbastanza. Abbiamo camminato facendo la strada più breve, quella che passa proprio davanti al cimitero che avevo accanto a casa (sembrerà una cosa super gore ma in realtà i cimiteri in Finlandia sono molto meno austeri e macabri dei nostri), sfacchinando comunque per un altro chilometro e qualcosa e sudando pure il tè bevuto a colazione la settimana prima, e lì sono stati altri feels.
Durante il corso estivo avevo l’abitudine di fare sempre la strada più lunga (NON MI CHIEDETE SPIEGAZIONI, NON SO RISPONDERE, SONO STUPIDA), cosa che rendeva la mia frangia piastrata poco prima un ammasso di capelli con una vita propria (considerate che c’erano 35°, una delle estati più calde che si ricordino, e che io mi ero portata quasi solo pantaloni lunghi in previsione della fresca e decisamente più tipica estate finnica) e che mi faceva arrivare a lezione già stanca. Oltretutto nei nostri appartamenti non c’era connessione internet e quindi l’unica soluzione era portarmi il pc all’università, sudando il doppio (in realtà avrei potuto usare i pc delle sale computer ma preferivo servirmi del mio quando possibile; again, SONO STUPIDA). Le lezioni cominciavano intorno alle 9.30 e terminavano alle 15, con in mezzo una pausa pranzo di circa un’oretta; il pomeriggio lo passavo solitamente insieme ai miei nuovi amici super metalloni, a camminare intorno al lago o ad esplorare i dintorni, e a fare i compiti per il giorno dopo. Non mancavano le attività extra, come gite (Kerimäki, per esempio), saune, festicciole con i residenti dell’altro studentato (più vicino all’università ma più lontano dal centro).
Dopo la visita all’università, io e Tuomas siamo tornati al centro, abbiamo mangiato un gelato e poi siamo tornati in albergo a riposarci un po’, prima di uscire di nuovo e andare a bere qualcosa nella terrazza del bar di fronte, da cui si vedeva tutta la piazza del mercato e il ponte.
Bei ricordi, quelli legati al ponte: era la sera del 29 luglio, l’estate come accennato era stata fino a quel momento caldissima e sapevamo che c’era una tempesta in arrivo, ma di certo non ci aspettavamo l’apocalisse. Mentre io e i miei compagni di corso eravamo sul ponte a guardare i fuochi d’artificio (c’era una festa in città), all’improvviso si alzò un vento spaventoso, si spensero tutte le luci e iniziò a piovere così forte che decidemmo di andare a ripararci nell’androne di un palazzo a caso. Per fortuna dopo mezz’ora era tutto finito ma il blackout era ancora in corso, l’unica cosa da fare era tornare a casa. Al buio totale. Con l’elettricità a casa ancora fuori uso. Con la preoccupazione che il treno che avrebbe dovuto portarmi a Helsinki il giorno dopo potesse avere dei ritardi legati al maltempo*. Insomma, tutto benissimo. Il giorno dopo mi svegliò il sole, come sempre sorto tra le 5 e le 6 (e io non avevo le tende oscuranti, mannaggia tutto), e realizzai di aver dormito in mezzo a qualche ago di pino entrato dalla finestrella che avevo lasciato aperta il giorno prima, prima di uscire per andare alla festa. Mi disse pure culo visto che, sempre il giorno prima, avevo dimenticato una padella piena d’olio sulla piastra elettrica ancora accesa e la casa si era riempita di fumo; avevo spalancato tutte le finestre della casa ma NON SO PER QUALE INTERVENTO DIVINO pensai che fosse meglio chiuderle prima di uscire, anche se l’odore di fumo non era ancora andato via del tutto. Se le avessi lasciate aperte probabilmente al mio ritorno mi sarei ritrovata un albero seduto in cucina a pretendere la cena, altro che aghi di pino.
Comunque, tornando a qualche giorno fa, dopo la breve parentesi sulla terrazza del locale ce ne siamo andati ad ammirare Olavinlinna in tutto il suo splendore. Nei paraggi c’era anche una famiglia di oche con i pulcini e ho emesso versi non udibili da orecchie umane. Accanto a Olavinlinna c’è un museo navale, anche questo visitato otto anni fa, e alcune barche-museo, due delle quali denominate Salama e Mikko, che mi ha fatto molto piacere rivedere. La storia del castello me la spiegò la guida durante la visita organizzata dall’università, voi potete trovarla qui.
A quel punto ci siamo resi conto di aver camminato quasi 11 km, a me era venuto un mal di testa tremendo (anticipato dall’aura che era venuta a farmi visita in treno, grazie, non dovevi) e non avevamo neanche pranzato come si deve, quindi abbiamo deciso di riposarci nuovamente per un po’ (io a letto, Tuomas in sauna) prima di uscire per cena. Finalmente intorno alle 20 abbiamo messo nuovamente del (buon) cibo sotto i denti, contornato anche dal dessert perché una volta tanto possiamo viziarci un po’, e poi siamo tornati in albergo per qualche ora. Durante il nostro vagabondaggio pomeridiano Tuomas aveva intravisto il “The Rocks”, unico pub alternativo di Savonlinna in cui io e le mie amiche eravamo state una volta tutte insieme, e quindi a mezzanotte gli è venuto il desiderio di andare a darci un’occhiata per valutarlo come possibile tappa in cui suonare col suo gruppo. Io stavo già dormendo in piedi ma mi faceva piacere rivedere il locale, quindi ho accettato di andare lì giusto il tempo di una birra (di Tuomas, non mia). Una volta poggiata finalmente la testa sul cuscino sono entrata in un coma profondo ed è stato tutto bellissimo.
Questo accadeva sabato. Domenica avevamo il treno per Helsinki già alle 12.30, quindi abbiamo avuto giusto il tempo di fare un giretto prima di metterci col culo sul sedile per le successive quattro ore, interrotte brevemente – di nuovo – dal cambio treno a Parikkala. Così è terminato il mio weekend di feels in una città che non è cambiata poi moltissimo in questi anni, sentendomi fisicamente a pezzi ma emotivamente felice e commossa: erano davvero anni che volevo tornare a Savonlinna ed è stato tutto come lo avevo immaginato. Spero di non aspettare altri otto anni prima di tornare di nuovo lì, ma in realtà tra due anni sarà il decimo anniversario del nostro corso, quindi chissà, magari organizzeremo una bella reunion con tutti gli altri (ho già avuto occasione di incontrare di nuovo qualcuno, giusto a marzo ho rivisto la ragazza turca con cui feci amicizia per prima mentre entrambe eravamo sul treno e che era qui a Helsinki per un tirocinio). Sarebbe il massimo.
* Il treno per Helsinki il giorno dopo li ebbe davvero, i problemi legati al maltempo. Saltò fuori che da Parikkala a Imatra la linea era bloccata a causa di alberi caduti sulla ferrovia e altri danni vari, ma fortunatamente da Savonlinna a Parikkala il viaggio filò liscio (e scoprii anche che molti dei miei compagni di corso erano sul mio stesso treno). A Parikkala non trovammo la coincidenza ad aspettarci ma ci fu detto che un pullman ci avrebbe portato fino a Imatra, da cui avremmo preso l’intercity per Helsinki senza dover pagare alcun sovrapprezzo. A finale arrivammo a Helsinki con solo un paio d’ore di ritardo, fortunatamente il mio volo per Fiumicino era il giorno dopo e quindi ebbi il tempo di riposare un po’ (specie dopo aver trascinato in giro la valigia con entrambe le ruote rotte). Raccontato così sembra tutto semplice e liscio, ma ricordiamoci che non avevo il super cellulare tecnologico con internet che ho oggi e che era la mia prima volta in Finlandia ever, in cui realizzai che ovviamente la gente non parla la lingua che troviamo sui libri (e che io all’epoca studiavo da un anno e mezzo e capivo ancora assai poco, anche considerando che “NEL SAVO LA GENTE PARLA STRANO”). Se tutto questo mi fosse successo da straniera in Italia probabilmente starei ancora lì ad aspettare il pullman.
Scusa Italia, lo sai che tvb.